ShortLetter - 09/2018
_ _ _ M O N D O
Il contesto economico è cambiato dall’inizio dell’anno. La crescita mondiale ha subito un rallentamento, è meno omogenea in termini geografici, trainata perlopiù; dagli Stati Uniti. L’economia americana è in “gran forma”; crescita del + 4,2% nel secondo trimestre (maggior incremento degli ultimi tre anni), un indice manifatturiero robusto, l’indice sulla fiducia dei consumatori ai massimi livelli, disoccupazione storicamente bassa, solida creazione di posti di lavoro e mercati azionari record. Per contro, nella maggior parte degli altri Paesi sviluppati assistiamo a un rallentamento e a una revisione al ribasso delle stime sulla crescita. I rischi sono aumentati: le tensioni commerciali, i negoziati relativi alla Brexit, le incertezze sulla politica di bilancio italiana e le pressioni sulle valute dei Paesi emergenti i cui fondamentali economici si stanno indebolendo stanno emergendo. Nel corso del mese di Settembre il tema dominante è rimasto quello della politica commerciale americana e della minaccia di una guerra tariffaria: il Presidente Trump ha raggiunto un accordo di massima con il Messico, esteso a fine mese anche al Canada, ma mantiene un approccio più; rigido nei confronti della Cina optando per l’avvio di ulteriori dazi su 200Mld di beni importati dalla Cina con aliquota al 10%. Aliquota che passerà al 25% da gennaio se non ci saranno evoluzioni sul fronte dei negoziati. La Cina ha reagito ai dazi di Trump in modo composto, semplicemente mettendo in pratica la minaccia che aveva già preannunciato ossia dazi su altri 60Mld$ di beni con aliquota molto bassa. La moderazione cinese è quello che ha soprattutto impressionato i mercati, stimolando una positiva reazione sui mercati azionari americani e asiatici con i listini di USA e Giappone che hanno toccato nuovi massimi storici.
La riunione di politica monetaria della Federal Reserve si è conclusa, come da attese, con la decisione di aumentare i tassi ufficiali di riferimento di 0,25%, portandoli nel range tra 2-2,25%. La Fed ha rivisto al rialzo le stime di crescita per l’economia americana, attesa al 3,1% per il 2018, rispetto al 2,8% precedente, e al 2,5% per il 2019, dal 2,4% stimato in giugno. Le attese di inflazione sono rimaste invariate al 2,1% per il 2018 e riviste al 2% per il 2019, dal 2,1% precedente. Infine, le proiezioni sui tassi attesi dai membri della Fed sono rimaste invariate, al 3,1% a fine 2019 e al 3,4% a fine 2020. Tali ipotesi hanno stimolato un nuovo rialzo dei rendimenti obbligazionari americani al di sopra del 3% sulla scadenza decennale.
Nel fine settimana si è tenuto l’incontro tra i maggiori Paesi produttori di petrolio, durante il quale i partecipanti si sono opposti alla richiesta del presidente USA Donald Trump di un aumento della produzione da parte dei paesi dell’OPEC; nei giorni immediatamente successivi il prezzo del greggio ha registrato un significativo rialzo toccando i massimi quadriennali.
Sui mercati valutari l’Euro si è indebolito leggermente nei confronti del Dollaro, raggiungendo l’area di 1,15 con il movimento accentuatosi verso la fine del mese in concomitanza delle turbolenze sugli assets italiani.
_ _ _ E U R O P A
La stima finale del Pil relativa al secondo trimestre evidenzia una crescita dello 0,4% in termini trimestrali e del 2,1% in termini annuali. Particolarmente importante è stata la crescita del Pil tedesco, pari allo 0,5% rispetto al precedente trimestre. Il tasso di disoccupazione complessivo si è attestato a luglio all’8,2%, in linea con le attese e col dato precedente. La lettura preliminare dell’indice dei prezzi registra una crescita del 2% in termini annuali, segnando, così, una decelerazione rispetto al 2,1% del mese di luglio.
La BCE non ha modificato il messaggio principale, imperniato sulla riduzione a 15 mld degli acquisti mensili ad ottobre, sulla fine del QE al termine del 2018 e sul mantenimento dell’attuale livello dei tassi almeno fino all’estate del prossimo anno. Nel corso della consueta conferenza stampa Draghi ha ribadito la necessità per i paesi a più; elevato debito di rispettare le regole del Patto di Stabilità e Crescita. A differenza degli Stati Uniti, secondo la Banca Centrale si registra un rallentamento dei principali indicatori macroeconomici: rispetto alle previsioni di giugno: la BCE ha corretto dal 2,1 al 2% la crescita del Pil della zona euro prevista per quest’anno e dall’1,9 all’1,8% quella per il 2019. Per il 2020 la previsione resta +1,7%. Le stime sull’inflazione invece non cambiano: secondo i tecnici della Bce resterà all’1,7%.
I mercati azionari europei hanno vissuto un mese particolarmente volatile, che ha visto un calo di valorizzazione all’inizio del mese a cui ha fatto seguito un significativo recupero fino alle ultime sessioni del mese in cui si sono registrate nuove brusche penalizzazioni delle quotazioni. A livello geografico, il divario tra Europa e Stati Uniti si è nuovamente ampliato a gran velocità, raggiungendo un differenziale dall’inizio dell’anno di oltre il 10%.
Lo spread tra i rendimenti obbligazionari italiani e quelli tedeschi si è significativamente ampliato all’indomani della presentazione del progetto di bilancio italiano, ma senza contagiare gli altri Paesi periferici.
La frontiera irlandese rimane il principale ostacolo nei negoziati della Brexit. Le speranze di Theresa May di ottenere concessioni dai partner europei al vertice di Salisburgo si sono rivelate vane. La premier sostiene che la soluzione di una frontiera commerciale interna al Regno Unito sia inaccettabile. Tuttavia il piano che ha proposto, vale a dire rimanere globalmente nell'unione doganale fino a quando non si troverà un compromesso migliore, sembra agli occhi dell'UE un mezzo per evitare la negoziazione dell'accordo commerciale e prolungare lo status quo per tutto il tempo che vorrebbe (ed interesserebbe) il Regno Unito. Il tono dei leader europei si è quindi inasprito sull'argomento e potrebbe irrigidirsi ulteriormente fino a novembre, termine ultimo per consentire agli Stati di arrivare a una ratifica entro marzo 2019.
_ _ _ I T A L I A
La decisione del governo italiano di aumentare la previsione del deficit di bilancio al 2,4% e di indicare questa soglia per i prossimi tre anni ha sorpreso gli operatori che si aspettavano un livello più; contenuto, anche a fronte delle rassicurazioni del Tesoro che fissava al 2% un limite “invalicabile”. In attesa di maggiori dettagli sul DEF, resta l’incertezza legata all’atteggiamento dell’esecutivo italiano nei confronti delle istituzioni europee. Sullo sfondo resta anche la possibilità che le agenzie di rating possano ridurre il giudizio sul debito del paese e rivedere al ribasso l’outlook (a fine ottobre si pronunceranno Standard&Poor’s e Moody’s).
Le ultime sessioni hanno conseguentemente evidenziato un nuovo rialzo dei rendimenti italiani con il due anni ritornato sopra il livello dell’1,45% e con la scadenza decennale ben sopra il 3% ritoccando un livello di differenziale, con i pari scadenza tedeschi, prossimo ai 300 punti base (ai massimi dallo scorso mese di maggio). Relativamente all’asset class azionaria, le vendite hanno colpito in maniera preponderante il comparto bancario, penalizzando l’intero listino italiano che nelle ultime tre sessioni del periodo di riferimento risulta in flessione di circa il 5%.
_ _ _ I N A R C A S S A
A fine Settembre il patrimonio di Inarcassa a valori correnti di mercato ritorna su livelli leggermente superiori ai 10,3 mld, seppur penalizzato ancora una volta dalla discesa delle quotazioni dei titoli italiani che tra azionario e obbligazionario raggiungono circa il 20% del patrimonio. Le penalizzazioni dovute alla presenza significativa di assets domestici sono state assorbite dal recupero dei mercati azionari extra europei e dalla componente legata al prezzo del petrolio. Rimane positiva l’area dedicata agli investimenti nell’economia reale (private equity, private debt, infrastrutture, immobiliare) a conferma del suo effetto stabilizzante sul rischio del portafoglio.
Pubblicato: 3 ottobre 2018