ShortLetter - 3/2023
_ _ _ M O N D O
Il mese di marzo è stato caratterizzato da parecchia volatilità e preoccupazione a causa del collasso della Silicon Valley Bank e della Signature Bank negli Stati Uniti. Le principali Banche Centrali hanno dovuto assicurare la necessaria liquidità al sistema bancario, alle prese con un’emorragia di depositi, garantendo quelli delle banche fallite e intervenendo per evitare il default di istituti di rilevanza sistemica, come Credit Suisse. Le autorità svizzere hanno infatti dovuto orchestrare in tutta fretta l’acquisizione di Credit Suisse da parte di UBS. E’ stato così evitato un pericoloso allargamento della crisi, ma al prezzo di pesanti conseguenze perché l’operazione mostra evidenti anomalie. Le assemblee dei soci non hanno potuto esprimersi. Inoltre, mentre gli azionisti di Credit Suisse hanno recuperato una minima parte del proprio investimento, gli obbligazionisti con il maggior livello di subordinazione non hanno recuperato nulla, nonostante avessero la precedenza sugli azionisti. Ciò ha scatenato una tempesta sul mercato del credito, che si è placata solo dopo che i supervisori bancari europei hanno assicurato che nulla del genere sarà mai ammesso altrove.
Nonostante la crisi bancaria, la FED ha aumentato i tassi dello 0,25%, ma ha lasciato intendere che potrebbe presto fermarsi, a meno che l’inflazione non sia troppo resistente. Prima del collasso della Silicon Valley Bank e della Signature Bank l’economia americana mostrava un sorprendente vigore e l’inflazione scendeva più lentamente di quanto sperato. Si temeva dunque una stretta monetaria più intensa e più duratura del previsto e le più recenti dichiarazioni di Jerome Powell avevano confermato questa sensazione. L’improvviso fallimento delle due banche americane ha sconvolto questo scenario. La rete di protezione attivata dalla Federal Reserve e dal Governo ha evitato un effetto domino, ma la fiducia nelle banche è messa a dura prova. Ciò potrebbe innescare una stretta creditizia e quindi rallentare sia la crescita economica che l’inflazione. Per questo motivo gli investitori ora si aspettano che la FED assuma un atteggiamento più morbido, anche per non creare ulteriori problemi al sistema bancario.
I dati pubblicati nelle scorse settimane hanno rinforzato questa ipotesi. Negli Stati Uniti l’inflazione di febbraio è stata del 6% anno su anno, in calo rispetto al 6,4% di gennaio. Anche i prezzi alla produzione sono cresciuti meno rispetto al mese precedente, a conferma che le pressioni inflazionistiche si stanno attenuando. Infine, le vendite al dettaglio, che in gennaio erano risultate sorprendentemente forti, sono scese in febbraio. Nel frattempo, la Banca Centrale Europea non si è lasciata influenzare dalla crisi bancaria e, come previsto, ha aumentato i tassi dello 0,50% portando il tasso sui depositi al 3%. Ha però chiarito che le prossime mosse dipenderanno dall’evolversi della situazione.
Allo stesso tempo sono state presentate le nuove stime aggiornate su PIL ed inflazione per l’Area Euro:
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Da notare come le stime sull'inflazione siano state sensibilmente riviste al ribasso sia per il 2024 ( da 3,4 a 2,9%) sia soprattutto per il 2025 (da 2,3 a 2,1%). Lagarde ha tenuto a precisare che si tratta di stime effettuate ad inizio marzo sulla base dei dati disponibili fino a metà febbraio. Pertanto, le stime non risentono dei recenti eventi sulle banche. La Lagarde a tal proposito ha dichiarato che la BCE ha già a disposizione alcune linee speciali da poter riattivare in caso di necessità, opportunamente riviste ed ampliate.
Anche nell’area Euro l’andamento dell’inflazione dovrebbe aiutare la Bce ad assumere un atteggiamento meno aggressivo in materia di politica monetaria. L’indice dei prezzi al consumo è salito in marzo del 6,9%, in forte rallentamento rispetto all’8,5% di febbraio, quasi esclusivamente grazie ai minori prezzi dell’energia. L’inflazione cosiddetta “core”, che esclude l’energia e gli alimentari, è invece risultata in leggera accelerazione.
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La percezione che la crisi bancaria sia ormai sotto controllo e i discreti dati d’inflazione hanno sostenuto i principali listini azionari che hanno recuperato nella seconda metà del mese quanto perso a seguito dello scoppio della crisi bancaria. Discreta performance dei mercati obbligazionari con i rendimenti decennali dei titoli di Stato che sono nuovamente calati soprattutto in USA come conseguenza delle minori prospettive di crescita dell’inflazione. Segnale confortante è arrivato dalle obbligazioni societarie, i cui “spread” si sono ridotti. Il dollaro si è deprezzato di circa l’1,5% contro l’euro. Il prezzo del petrolio Brent è salito del 6,4% come conseguenza del nuovo taglio della produzione annunciato dall’OPEC, e quello dell’oro ha raggiunto i nuovi massimi di periodo svolgendo la solita funzione di bene rifugio in momenti di alta volatilità.
_ _ _ I N A R C A S S A
A fine marzo 2023 il patrimonio di Inarcassa a valori correnti di mercato si mantiene sopra i 12,8 mld in aumento rispetto al mese precedente come conseguenza della discesa dei rendimenti obbligazionari che ha avuto ripercussioni positive sulle rispettive valorizzazioni ed un recupero delle quotazioni degli assets illiquidi. Il risultato gestionale di questo primo trimestre risulta piuttosto positivo e pari a circa un +3%. Il cda ha avuto come obiettivo l’ulteriore riallineamento della composizione del patrimonio alla nuova AAS per il 2023 con particolare riferimento alla componente azionaria approfittando della temporanea discesa dei listini con la chiusura della copertura sull’esposizione azionaria dell’Area Euro. E’ ripresa anche l’attività di investimento sui prodotti di private markets con la selezione che in questo caso ha riguardato i veicoli che investono in particolari settori dell’asset immobiliare domestico legati alle infrastrutture sociali.
Pubblicato: 7 aprile 2023
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