ShortLetter - 01/2019
_ _ _ M O N D O
Gennaio decisamente positivo per i mercati finanziari. A dare il la, è certamente stata l’apertura di Trump e Xi Jinping ad un eventuale accordo sul temuto inasprimento della guerra commerciale, secondo il quale la Cina potrebbe impegnarsi nei prossimi mesi ad importare più; merci americane al fine di evitare un ulteriore rialzo e/o l’estensione dei dazi imposti dagli Stati uniti. Ma la principale artefice dei movimenti di mercato è stata la Banca Centrale USA che nella prima riunione ufficiale del 2019 ha di fatto abdicato alla politica progressiva di rialzi dei tassi di interesse iniziata sul finire del 2015. Inoltre, la Fed si è detta disposta a riconsiderare il programma prestabilito di riduzione del proprio bilancio, rivedendo eventualmente in corso d’anno il ritmo di non reinvestimento dei titoli del Tesoro USA in proprio possesso che giungono via via a scadenza.
Positiva anche la stagione degli annunci delle società che hanno pubblicato gli utili nel corso del mese, sia negli Stati Uniti (234 dell’S&P 500) che in Europa (circa 30 dello Stoxx600). Gli utili, fortemente rivisti al ribasso a partire dall’Ottobre del 2018, hanno registrato piacevoli sorprese positive nonostante il tono non sempre ottimistico sul futuro.
L’indice azionario globale ha dunque chiuso il mese in salita del +7.14%: US +8.08%, Europa +5.49%, Giappone +5.24%. I mercati emergenti (sostenuti soprattutto da Turchia, Cina e Russia) hanno guadagnato in media il 7.12%. L’atteggiamento più; accomodante di Powell e di Draghi ha spinto i rendimenti obbligazionari ancora verso il basso. L’Euro/Dollaro è rimasto sostanzialmente stabile a 1.14 (dopo un movimento inframensile da 1.15 a 1.13).
L’ultimo rapporto del FMI sulle prospettive dell’economia mondiale si inserisce in un clima di pessimismo generale che regna dallo scorso anno. Le previsioni per il 2019 e il 2020, già ridimensionate in autunno, sono state nuovamente riviste al ribasso, rispettivamente al 3,5% e al 3,6% a livello mondiale. Il calo è attribuibile, ovviamente, alle tensioni commerciali sino-americane, ma anche alle situazioni specifiche di Germania, Italia e Turchia, nonché; allo shutdown in corso negli USA. Sul breve orizzonte, il FMI osserva un rallentamento dell’attività manifatturiera e in particolare della produzione di beni strumentali, nonché; l’indebolimento della crescita del commercio mondiale, due elementi che insieme possono alimentare la frenata della congiuntura. A breve termine, i principali rischi identificati dal FMI sono, come era prevedibile, la hard Brexit, un rallentamento più; marcato in Cina e un’escalation delle tensioni commerciali oltre il livello attuale.
Le notizie negative legate al rallentamento della Cina sono confermate dai dati sul PIL 2018 che hanno mostrato una crescita di “solo” il 6,6%, dato più; basso dal 1990. Il dato relativo alla bilancia commerciale di dicembre ha confermato la fase di rallentamento della seconda economia mondiale. Le esportazioni sono calate del 4,4% rispetto allo stesso mese del precedente anno e le importazioni si sono contratte del 7,6%, con un calo di ben il 36% dell’import dagli Stati Uniti per effetto delle tariffe imposte dalla Cina in risposta alle dispute commerciali con gli USA. Contestualmente la Banca Centrale cinese ha iniettato nel sistema bancario 84 miliardi di dollari riaffermando così la volontà di contrastare il rallentamento in atto.
_ _ _ E U R O P A
Il parlamento britannico ha votato contro il piano sulla Brexit del primo ministro May, pur confermando la fiducia alla stessa. Rimangono aperte molteplici soluzioni, ma in generale il parere degli analisti è che si cercherà di andare verso una versione più; “soft” rispetto a quella presentata la settimana scorsa.
Gli investitori hanno letto in maniera generalmente positiva le parole di Mario Draghi che sono seguite al Consiglio Direttivo della BCE. Di fronte ai rischi sulle prospettive economiche che da “bilanciati” sono passati “al ribasso”, il Governatore non ha annunciato nuove misure ma ha ribadito la linea d’azione che prevede il mantenimento dell’attuale livello dei tassi almeno fino all’estate del 2019 e ha lasciata aperta la possibilità di una nuova iniezione di liquidità a medio termine in occasione della prossima riunione di Marzo.
Tale impostazione infatti risulta quasi obbligata alla luce degli ultimi dati congiunturali europei. In Germania il Pil ha presentato una crescita dell’1,5% relativa all’intero 2018. Si tratta del nono anno consecutivo di crescita, la serie più; lunga dopo quella tra gli anni 50 e 60. Tuttavia, si tratta anche della crescita più; debole degli ultimi 5 anni. In particolare, il maggior freno alla crescita è derivato dalle minori esportazioni nette, mentre sia i consumi privati, sia gli investimenti hanno mostrato solidità e hanno contribuito positivamente. Segnali non positivi emergono dalla pubblicazione dei dati sulla fiducia dei consumatori dell’area Euro e dai dati relativi alla fiducia degli imprenditori con l’indice composito che è calato per il quinto mese consecutivo a 50,7 punti dal 51,1 precedente. Il deterioramento ha riguardato sia i servizi sia il settore manifatturiero. In entrambi i casi, si tratta dei valori più; bassi da luglio 2013. Le motivazioni alla base della flessione degli indici sono probabilmente da ricondurre ai timori sull’evoluzione della guerra commerciale, alle incertezze derivanti da Brexit, alla debolezza dell’industria automobilistica e alle tensioni sociali derivanti dalla rivolta dei Gilet Gialli in Francia. Sul fronte dell’inflazione, l’indice dei prezzi al consumo ha presentato a dicembre una crescita nulla (in termini mensili) dopo la flessione dello 0,2% di novembre. In termini tendenziali, l’inflazione è rimasta stabile all’1,6%.
_ _ _ I T A L I A
Notizia di rilievo è stato il dato negativo per la crescita italiana dell’ultimo trimestre del 2018. Il ritorno in recessione ha motivazioni solo in parte domestiche. Certamente ha pesato il rialzo dei tassi di interesse causato dal braccio di ferro ingaggiato dal governo con la Commissione UE. Ma non si può ignorare che il 2018 sia stato un anno di forte rallentamento per l’intera Eurozona e, avendo l’Italia un passo tradizionalmente più; lento degli altri, nelle fasi di rallentamento è la prima ad entrare in recessione.
La prima asta del 2019 di titoli a medio-lungo termine ha avuto un esito positivo, soprattutto, sulle scadenze a 3 e 7 anni. Questi collocamenti, uniti ai 7 mld di Euro di Bot a 12 mesi offerti in precedenza dal Tesoro, confermerebbero un clima più; disteso sui titoli del debito pubblico italiano.
Ciò ha comportato una sostanziale stabilità dello spread italiano rispetto ai livelli di fine 2018. Il listino azionario domestico apre l’anno con un risultato sensibilmente positivo (leggermente sotto il 9% di guadagno) nonostante il perdurare delle difficoltà del settore bancario.
_ _ _ I N A R C A S S A
A fine Gennaio il patrimonio di Inarcassa a valori correnti di mercato si è portato per la prima volta al di sopra dei 10,5 mld grazie ai nuovi flussi contributivi di fine anno e ai significativi recuperi delle quotazioni azionarie registrate nelle prime settimane del nuovo anno. Il rendimento gestionale a valori di mercato del mese di gennaio ha più; che compensato il calo fatto registrare nell’ultimo mese dello scorso anno. Si è avviato il processo di allineamento alla nuova Asset Allocation Strategica 2019 con un trasferimento di circa il 2% del patrimonio dall’Azionario Pacifico all’Azionario Europa. Prosegue infine l’adeguamento del portafoglio con il sempre maggiore utilizzo di strumenti finanziari che rispettino i principi di investimento responsabile (ESG) adottati da Inarcassa.
Pubblicato: 6 febbraio 2019