Previdenza e Professione: occhi puntati sul futuro
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di Franco Fietta
Le recenti novità in materia fiscale hanno introdotto significativi vantaggi per chi rientra in alcuni parametri di ricavi (inferiori a 65.000 euro annui) e di svolgimento dell’attività professionale, proiettando anche una possibile alternativa per l’anno prossimo in caso le entrate siano più elevate, con la “Flat tax” del 20% per ricavi inferiori a 100.000 euro. Si tratta di benefici legati all’aliquota fiscale da applicare, ma anche a modalità organizzative e a vantaggi concorrenziali qualora l’IVA sia un costo per il cliente, vantaggi ingiustificati quando ci si deve confrontare con colleghi in altri regimi fiscali.
E’ evidente che ognuno di noi deve prendersi il tempo di valutare la propria situazione e riconsiderare gli aspetti fiscali in rapporto con l’efficienza dell’organizzazione del proprio studio, ragionando anche su prospettive apparentemente più lontane o secondarie come quella della previdenza.
A premessa di tutto sta la considerazione che una tassazione ridotta nel caso di redditi non elevati non può che essere vista positivamente, in un momento in cui il mondo economico di riferimento, quello dell’edilizia, è ancora in crisi e fa fatica a vedere una ripresa. Ma è anche vero che l’espressa esclusione dai nuovi regimi fiscali delle attività professionali svolte in forma associata o in forma societaria, spinge alla loro disgregazione, quindi ostacola fortemente la crescita dell’efficienza organizzativa e, nel tempo, limita pure la possibilità di accedere in forma aggregata a gare pubbliche di dimensioni significative.
L’effetto negativo va ricercato proprio nel “gradone” fiscale posto dalle nuove soglie, che frena enormemente la fase di transizione verso forme più efficienti economicamente. Non si tratta dunque di uno svantaggio sentito dalle organizzazioni professionali più grandi, ma di un limite che crea uno spartiacque tra strutture ‘monoprofessionista’, obsolete dal punto di vista organizzativo, e gli studi più strutturati o le società di Ingegneria, che oltre ad avere maggiori efficienze godono anche di altri vantaggi. Il problema è quindi legato ad una fascia intermedia, a cui non conviene più perseguire un progressivo aumento del fatturato e delle entrate, pena un sensibile aumento dei costi fiscali e organizzativi quando si supera il valore limite dei ricavi sopra menzionati.
Passando all’aspetto previdenziale, per organizzazioni semplici o associative nulla cambia; anche per una Società tra professionisti non vi sono sostanziali differenze. Invece, per una Società di Ingegneria occorre segnalare che il non assoggettamento al contributo soggettivo del reddito di impresa riduce una spesa significativa, ma per contro toglie “previdenza” al socio ingegnere o architetto. Va anche considerato che il socio che presta il suo lavoro, professionale o da amministratore, viene comunque sottoposto a contribuzione previdenziale, o a seguito di fattura con la partita IVA personale o di compenso assimilato ad attività da dipendente, con le conseguenti diverse aliquote contributive. Tutte valutazioni da fare con un bravo consulente del lavoro e fiscale.
Tuttavia in ultima analisi, quello che appare come un “risparmio di contribuzione” deve essere valutato anche in prospettiva, perché il mancato accumulo previdenziale a seguito di versamenti ridotti produrrà i suoi effetti in futuro, quando si raggiungerà la pensione. Non dobbiamo dimenticare che oggi, rispetto ad un tempo in cui il sistema di calcolo retributivo più generoso e approssimativo consentiva di “recuperare” periodi di magra, il sistema contributivo non lascia spazio a disattenzioni, presentando un conto rigoroso a momento debito.
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